Jimmy Lai: Non ho mai chiesto a politici Usa di fare qualcosa contro Hong Kong e la Cina
Il magnate dell'Apple Daily ha testimoniato oggi per la prima volta. E' accusato di essere “la mente” dietro le manifestazioni pro-democrazia del 2019-2020 e il fautore delle sanzioni Usa contro personalita' di Hong Kong e della Cina. Lai ha spiegato di essere solo “un businessman con interessi sociali”.
Hong Kong (BC.it) – Il magnate Jimmy Lai, in prigione con l’accusa di aver violato la legge sulla sicurezza nazionale, ha dichiarato oggi di non aver mai chiesto a politici Usa o di altre nazioni di “fare qualcosa contro Hong Kong e la Cina”. E’ la prima volta che Lai prende la parola nel processo che lo vede accusato di “cospirazione e collusione con forze straniere” e di aver pubblicato materiale “sedizioso”. Il processo, iniziato lo scorso dicembre, e’ al suo 93mo giorno. Lai e’ in prigione dal dicembre 2020, gli e’ stata negata la cauzione e ha passato periodi in cella di isolamento.
Nei mesi precedenti, l’accusa lo aveva additato come “la mente” dietro le manifestazioni pro-democrazia del 2019-2020 e come il fautore delle sanzioni Usa contro personalita’ del governo di Hong Kong e del partito comunista in Cina.
Ad avvalorare le tesi dell’accusa vi erano molti messaggi di whatsapp che dimostravano la rete di contatti internazionali del magnate e le testimonianze di alcuni imputati suoi collaboratori, che ad un certo punto hanno deciso di collaborare con la procura.
La testimonianza di Lai, in inglese e con stile franco e diretto, sembra azzerare tutte le accuse. Si e’ autodefinito “un businessman con interessi sociali”.
Lai ha anzitutto chiarito perche’ egli si e’ buttato nel business dei media, una scelta che lui ha fatto dopo il 4 giugno 1989 (massacro di Tiananmen), guidato dal principio che “piu’ informazione” significa “piu’ liberta’”. Lai ha fondato dapprima un settimanale, “Next”, poi il giornale quotidiano “Apple Daily”, divenuto in seguito il giornale piu’ letto da parte del movimento democratico.
Una delle accuse – mossagli anche dai suoi ex collaboratori – e’ che “Apple Daily” e’ divenuto piu’ “politico” dopo la cosiddetta “rivoluzione degli ombrelli” nel 2014, quando per mesi il centro di Hong Kong e’ stato occupato da un sit-in di studenti e adulti che chiedevano l’elezione diretta del parlamento e del capo dell’esecutivo.
Lai ha fatto notare che dopo il 2014, il movimento democratico e’ divenuto piu’ attivo nella societa’ e il giornale non poteva non riportare questo nuovo maggiore impegno.
I suoi ex collaboratori lo avevano accusato di aver dato strette direttive editoriali per il giornale. Lai invece ha detto che si fidava di loro e non ha mai voluto influenzare le loro scelte. Del resto, per il giornale lui aveva contribuito con un solo editoriale, all’inizio delle pubblicazioni, in cui affermava che “il cuore dei valori di Apple Daily erano il cuore della popolazione di Hong Kong”. E ha precisato: “stato di diritto, liberta’, ricerca della democrazia, liberta’ di stampa, di religione, di associazione”.
L’accusa, imbeccata dai suoi testimoni, aveva passato settimane a parlare dei cosiddetti “lunch-box”, incontri a pranzo con il personale del giornale, come lo strumento per imporre la politica editoriale. Lai ha spiegato che in questi incontri si parlava delle questioni economiche; ogni settimana egli si incontrava con un gruppo diverso, cosi’ che con lo stesso gruppo l’incontro avveniva ogni sei settimane… forse un po’ poco per imporre una politica a un giornale quotidiano.
Ma il punto piu’ importante e’ la sua testimonianza contro l’accusa di collaborazione con forze straniere, che potrebbe costargli l’ergastolo. L’avvocato difensore di Lai, Steven Kwan, ha mostrato una pagina con tutti i presunti legami e le foto delle personalita’ che, secondo l’accusa, Lai avrebbe contattato per imporre sanzioni su Hong Kong e Cina.
Lai ha fatto notare che egli non ha mai incontrato diversi di loro, altri non li conosceva, o li ha incontrati di sfuggita, altri ancora li ha incontrati in occasione delle loro visite a Hong Kong durante le manifestazioni del 2019-2020.
La questione piu’ scottante e’ il suo viaggio negli Stati Uniti nel luglio 2019, dove ha incontrato il vice-presidente Mike Pence e il segretario di Stato Mike Pompeo. Lai ha spiegato che egli era andato a Washington per incontrare politici Usa e chiarire loro la situazione di Hong Kong in quel momento e che sono stati Pence e Pompeo a chiedere di vederlo. Ma – ha affermato – “ho chiesto loro di parlare per Hong Kong, non di fare qualcosa”.
Interessante anche quanto emerso sul rapporto fra Lai e Paul Wolfowitz, ex segretario Usa alla difesa: quest’ultimo era stato un consulente di Lai dal 2013 al 2017 per alcuni investimenti economici in Myanmar. Le sue consulenze erano state pagate.
In compenso, egli ha affermato con decisione: “Non ho mai pagato nessun politico [straniero] perche’ facessero qualcosa per Hong Kong”. Egli pero’ ha fatto donazioni al Partito democratico e al Civic Party di Hong Kong.
Lai ha anche dichiarato di non aver mai sostenuto l’indipendenza di Hong Kong o di Taiwan, anche se egli stima Taiwan come “l’unica esperienza democratica nella storia del mondo cinese”.
Secondo la difesa, la testimonianza di Lai durera’ per 15 giorni.