Il magnate dell'Apple Daily, giornale pro-democratico ormai chiuso, è in prigione dal dicembre 2020. Per la legge sulla sicurezza nazionale è accusato di collusione con forze straniere per danneggiare Hong Kong e la Cina, e di sedizione - secondo una legge britannica degli anni '70 rimessa in vigore dal presente governo -, avendo pubblicato materiale pericoloso per l'ordine pubblico. Rischia l'ergastolo. Il processo, iniziato a dicembre, durerà per almeno 80 giorni.
Hong Kong (BC.it) - Da diversi giorni seguo il processo contro Jimmy Lai, il padrone del giornale Apple Daily, ormai chiuso (dal 24 giugno 2021) dopo diversi interventi della polizia per la sicurezza nazionale, l’arresto di alcuni dirigenti, il blocco del conto bancario del giornale.
Jimmy Lai è accusato, proprio in base alla legge sulla sicurezza nazionale, di collusione con forze straniere per danneggiare Hong Kong e la Cina, e di sedizione - secondo una legge britannica degli anni ’70 rimessa in vigore dal presente governo -, avendo pubblicato materiale pericoloso per l’ordine pubblico.
Jimmy Lai, 76 anni, è in prigione dal dicembre 2020. Gli è stato sempre negato il rilascio su cauzione. Egli è stato anche accusato e condannato a 5 anni e 9 mesi per frode, avendo affittato un’infima parte del palazzo della Next Digital (una compagnia legata all’Apple Daily) a un ufficio legale che lavorava per lui.
L’accusa definisce Lai “la mente” dietro tutte le manifestazioni pro-democrazia che hanno radunato milioni di persone per le strade di Hong Kong nel periodo 2019-2020. Egli sarebbe anche “la mente” che ha generato in qualche modo le sanzioni applicate dagli Stati Uniti contro personalità del governo del territorio e contro la Cina, che hanno danneggiato l’economia di entrambi.
Per l’accusa di sedizione Lai rischia alcuni anni di prigione; per quella di collusione con potenze straniere egli rischia l’ergastolo.
L’accusa ha dapprima cercato di mostrare la “politica editoriale” di Apple Daily determinata dal suo padrone con incontri settimanali con lo staff della dirigenza. Citando e-mail, messaggi sms e articoli, il procuratore capo ha mostrato la vicinanza del giornale al movimento democratico e alle manifestazioni contro la legge che avrebbe permesso l’estradizione di persone accusate di crimini in Cina. Le manifestazioni del 2019-2020 erano nate anzitutto per domandare l’eliminazione di questa legge; poi si sono evolute in domande per la giustizia contro l’uso eccessivo della forza da parte della polizia e infine richiesta di piena democrazia per Hong Kong. Talvolta le manifestazioni hanno avuto delle aspre code di violenza e teppismo.
Secondo il movimento la legge sull’estradizione avrebbe segnato la fine dello stato di diritto nel territorio e la fine della politica “un Paese, due sistemi”, che permetteva a Hong Kong di godere uno stile di vita liberale e rispettoso dei diritti umani, pur essendo una “regione speciale” della Cina.
Ma nel materiale presentato dal capo procuratore Anthony Chau non vi sono evidenze di efferati crimini: vi sono indirizzi di personalità politiche straniere, timori espressi per la fine dello stato di diritto, speranze di intervistare Mike Pence (vicepresidente Usa dal 2017 al 2021), o Mike Pompeo (Segretario di Stato Usa dal 2018 al 2021).
L’accusa ha citato anche la scelta di Lai di varare un’edizione inglese del giornale per diffondere le idee di Apple Daily negli Usa e trovare là sempre più lettori. Secondo l’accusa tale scelta sarebbe in qualche modo legata alle decisioni Usa di attuare sanzioni contro la Cina.
Ma a mio parere è molto difficile vedervi un rapporto di causa-effetto. In fondo, tutte le scelte editoriali elencate sono spiegabili come scelte di tipo mediatico: è chiaro che un giornale d’opinione come l’Apple Daily, facesse scelte per diffondere il più possibile le sue posizioni, tanto più nella situazione di Hong Kong, minacciata da un possibile intervento del governo cinese di congelare l’autonomia e lo stato di diritto nel territorio. E d’altra parte, il tema “Hong Kong” poteva essere al massimo un elemento in più al già consistente dossier di critiche alla Cina del governo di Donald Trump, che aveva già messo in atto sanzioni economiche al gigante asiatico per tutti i suoi illeciti nell’export, nel commercio e negli investimenti.
Inoltre, la posizione editoriale dell’Apple Daily (e quella di Jimmy Lai) è conosciuta da tempo come liberale e anti-Partito comunista cinese, causa di violenze sui diritti umani e di corruzione fra i quadri. Che valore aveva dunque questa esposizione così analitica nell’elenco, ma così vaga in rapporto alle accuse?
Per avvalorare la sua tesi, la scorsa settimana il procuratore ha chiamato a testimoniare Cheung Kim-hung, ex amministratore delegato del giornale, anch’egli arrestato e accusato con Lai, insieme ad altre 6 persone della dirigenza. Ma mentre Lai ha negato l’accusa, Cheung si è riconosciuto colpevole ed ha accettato di testimoniare contro il suo ex datore di lavoro, con il quale ha lavorato per 20 anni e più. Cheung è in custodia cautelare in carcere da due anni e la sua sentenza verrà emessa dopo quella di Lai. Qualcuno dice che la sua testimonianza contro Lai è parte di un patteggiamento per ricevere poi una condanna più lieve.
Dopo Cheung, altri due arrestati della dirigenza, Chan Pui-man e lo scrittore Yeung Ching-kee testimonieranno a favore dell’accusa, dopo essersi riconosciuti colpevoli.
Quella di Cheung non è una testimonianza vera e propria, con racconti, fatti, evidenze. Il procuratore capo espone e cita articoli, messaggi e fa poi domande al teste che spesso risponde solo con un sì o con un no.
Un fatto evidente è che la politica editoriale di Jimmy Lai – come appare dai messaggi scambiati con Cheung - era mossa anzitutto dal “salvare Hong Kong”, sostenere i diritti umani, proteggere Hong Kong e lo stesso Apple Daily. Ma quasi sempre, alla fine dell’analisi di un articolo o altro, il procuratore capo sottolinea il carattere “anti Hong Kong” e “anti Cina”.
Soprattutto, l’essere “anti Cina” è motivato – come appare in un messaggio – dal fatto che il Partito comunista opprime i diritti umani; non è stato trasparente sull’epidemia di Covid; manca di integrità (a causa della corruzione?).
Per la procura questo è un evidente sentimento anti-Cina che avrebbe dato giustificazioni agli Usa per varare le sue sanzioni.
Ma ancora una volta – io credo – manca un rapporto di causa-effetto, senza poi contare l’autonomia del governo Usa e del suo parlamento nel prendere le loro decisioni.
In un messaggio Jimmy Lai dice che l’edizione inglese di Apple Daily permetterà nuovi lettori nel mondo Usa. Questi saranno “una leva” fra il giornale e il governo Usa per “proteggere” il giornale. Alla richiesta di uno dei giudici di spiegare cosa ciò significhi, o se Lai avesse spiegato il senso di questa “leva”, Cheung ha risposto di non sapere e di non avere mai domandato il senso. Ma il procuratore capo ha concluso dicendo che la pressione sull’opinione pubblica americana tendeva a far varare sanzioni anti Cina.
Un elemento che sembrerebbe un autogol dell’accusa è la citazione del tentativo di far abbonare all’Apple Daily politici americani (fra cui Mike Pence e Michael Pompeo). Questo avrebbe potuto forse dare l’idea di un legame formatosi fra il giornale e le personalità politiche Usa fra i responsabili delle sanzioni. Ma secondo Cheung quel tentativo non ha avuto successo.
Avendo assistito in tutti questi giorni al processo, mi sembra evidente che vi sono due modi diversi di vedere le cose. Da una parte Jimmy Lai che persegue la sua linea editoriale, vara l’edizione inglese, diffonde il suo messaggio, appoggia il movimento democratico per “salvare Hong Kong”, lo stato di diritto, i diritti umani, la sopravvivenza di Apple Daily. Dall’altra vi è la procura che, pur senza prove evidenti, conclude ogni sessione mettendo in luce il sentimento anti Cina e le sanzioni come prodotto di questo impegno editoriale.
Senza ribadire qui il problema della mancanza di vero nesso fra causa ed effetto, resta una domanda: può un giornale d’opinione operare diversamente da come Jimmy Lai ha operato? Diffondere il più possibile la propria visione non è forse parte del diritto alla libertà di stampa e di opinione? Ma allora il processo a Jimmy Lai non rischia di essere un processo contro tutti gli Hongkonghesi che criticano il Partito comunista cinese? Come pure contro la libertà di stampa e di opinione?
Secondo
Reporter senza frontiere, dopo il varo della legge sulla sicurezza la libertà di stampa a Hong Kong è scesa agli ultimi posti della classifica mondiale. John Lee, capo dell’esecutivo, grande amico di Pechino, afferma invece che non c’è bisogno di difendere la libertà di stampa ad Hong Kong perché essa esiste già (
China Daily, 23 Settembre 2023).