Taipei (BC) - Sei mesi intensi di scuola faccia a faccia con la maestra, tutti i giorni, e alla fine, lo scorso 26 aprile, ho tenuto il mio primo discorso ufficiale in cinese, di cui presento qui il video e la traduzione. Il discorso è un modo di ringraziare le persone che ho incontrato e la scuola, che è rimasta aperta per gli stranieri anche in tempo di Covid.
L'evento - con poche persone data l'epidemia - si è tenuto nell'Istituto per i diplomatici a Taipei.
Arrivo a Taiwan
Carissima Sig.ra presidente Anna Gao,
carissimi amici,
Il tempo scorre veloce e oggi è uno dei miei ultimi giorni di scuola. E' anche il giorno della mia prima presentazione, in cui devo parlare in cinese. Vi chiedo subito scusa se il mio cinese non è all’altezza del vostro istituto e della vostra preparazione. E vi dico subito che il mio cinese mama huhu è dovuto al fatto che ho una certa età e che sono straniero e per uno straniero occorre tempo per assimilare questa vostra bella lingua e cultura.
Capisco anche che il mio povero cinese non è sufficiente per esprimere tutta la mia grande gratitudine verso l’istituto e il ministero degli esteri che mi ha dato questa possibilità così preziosa. La mia gratitudine è più grande delle parole che posso usare.
Una presentazione alla fine del corso diventa in qualche modo una revisione di quello che è stato e una valutazione delle occasioni, delle cose belle viste e delle magnifiche persone che ho incontrato.
Zai Jia kao fumu, chuwai kao pengyou
Questa frase [“A casa mi appoggio a padre e madre; all’estero mi appoggio agli amici”] che ho studiato tante volte nelle lezioni, è forse il riassunto di questi sei mesi: a Taiwan si trovano amici su cui contare; a Taiwan l’amicizia e l’apertura al mondo sembrano crescere ogni giorno di più.
Me ne sono accorto subito quando lo scorso settembre sono arrivato all’aeroporto di Taoyuan in piena emergenza Covid. Un mese prima ero arrivato ad Hong Kong e mi avevano fatto impressione le hall vuote, la solitudine, gli impiegati che trattavano i passeggeri come degli infetti da tenere lontani.
A Taoyuan l’ambiente era molto diverso, gli impiegati cauti, ma sorridenti. Anche gli impiegati all’hotel dove ho trascorso la quarantena ascoltavano e risolvevano i nostri bisogni con cordialità e ogni giorno ci portavano cibi buoni e ricchi: molto diverso da Hong Kong dove la quarantena è stata anche una dieta a base di verdure bollite e riso bianco.
La mia stanza al secondo piano dell’albergo aveva un balconcino dove potevo fumare. Ma era soprattutto il luogo dove vedevo i taiwanesi. Mi hanno colpito due cose:
-
La prima era la serietà con cui si raccoglievano i rifiuti. A una certa ora, le 17.30, passava il camion e grandi e piccoli, giovani e anziani portavano i loro rifiuti per caricarli sul veicolo: un grande segno di civismo. Io vengo da Roma dove il problema dei rifiuti è grande e dove la gente preferisce abbandonarli in strada, aumentando la sporcizia e il fetore.
-
La seconda è la tenerezza dei padri verso i figli. Di fronte al mio albergo vi è una scuola elementare. Alla sera mamme e papà attendevano fuori l’arrivo dei loro bambini. E mi ha colpito che ci fossero dei papà che aspettavano le loro bambine, le accarezzavano, parlavano con loro. Io avevo studiato che nella famiglia cinese il padre è una figura lontana dai figli e soprattutto dalle figlie. E sono contento che invece ora non sia così.
La scuola
Questa scuola è molto moderna, ordinata, spaziosa, ma il carattere più bello è quello dell’amicizia, dal sig. Lin, il portiere, fino alle personalità più alte.
Me ne sono accorto il primo giorno che sono arrivato qui lo scorso novembre. Molto ingenuamente ho chiesto dove fosse la caffetteria per prendere un caffè. Mi hanno detto che non c’era e che se volevo potevo andare fuori della scuola a berlo. Ma siccome gli intervalli sono solo di 10 minuti era quasi impossibile. Dopo qualche ora il sig. Yang mi ha portato una confezione di caffè liofilizzato e perfino una tazza! Questa tazza e questo caffè mi hanno accompagnato per tutti questi sei mesi.
A Natale, per non farmi venire la nostalgia di casa, Anna mi ha perfino fatto un regalo e mi ha invitato a pranzo con Mina e con alcune personalità del governo, dove abbiamo parlato di tante cose importanti.
La vigilia del Capodanno cinese, il sig. Huang mi ha invitato a casa sua, dove ho conosciuto la sua mamma, che aveva preparato tanti gustosi piatti, e suo fratello che vorrebbe studiare in Italia.
La sorpresa più grande è stato incontrare qui al Mofa il mio carissimo amico Giorgio Huang, che conosco da tanti anni. Con lui abbiamo avuto molte occasioni di incontrarci fra di noi, con alcuni ambasciatori dell’Europa e con l’ex ambasciatore del Vaticano, Mr Tu.
Un grazie speciale va al sig. Yang, che segue i miei passi fin da quando ero ad Hong Kong ed è stato sempre attento ad ogni bisogno. Lui mi ha fatto scoprire alcune cose della vita di Taiwan di cui parlerò fra poco.
Il corso
Per il corso di cinese devo ringraziare il TLI e la maestra Cao. Svolgere un corso one-to-one è molto difficile perché è necessaria tutta l’attenzione per tre ore del maestro e dell’allievo. Non essendoci altri studenti è possibile farsi prendere dalla noia. Ma la maestra Cao non si è mai stancata nel correggermi, nel darmi spiegazioni, nel ricordarmi i caratteri dimenticati. Grazie a lei ho anche potuto gustare alcuni buoni piatti della cucina taiwanese e cinese, come il tangcuyu e la Beijing kaoya.
Ad una festa natalizia del TLI mi ha pure spinto a cantare in cinese una canzone che io amo molto, “Gan lan shu”.
Il Museo e lo spirito
Poco dopo il Capodanno cinese, il sig. Yang e il sig. Huang con alcuni amici hanno organizzato una visita al National Palace Museum. Ero stato lì già alcune volte da solo ad ammirare i quadri dell’epoca Sung, Yuan e Ming . Questa volta è stato molto più interessante perché abbiamo avuto la fortuna di avere con noi una guida, il prof. Jack Wu.
Ci siamo soffermati su alcuni primi reperti dell’età del bronzo (circa 3500 anni fa) e guarda caso, fra le cose bellissime che sono in vetrina vi è un vaso (ding) che serviva per cuocere il cibo per l’offerta al dio, che poi veniva distribuito – come segno di unione con il dio – anche ai presenti. Il fatto impressionante è che vasi, bicchieri preziosi, piatti lavorati erano non per l’uso quotidiano, ma per il servizio liturgico! Anche perché forse nessuno poteva avere tutto il denaro necessario per fondere un vaso di bronzo, lavorarlo, ornarlo, …
La liturgia serviva a motivare e potenziare il lavoro in miniera per ricavare i minerali, la tecnologia per imparare come mescolare i metalli per fare le leghe, la scultura per fondere il bronzo nei modelli….
Poi ci sono le giade, simbolo di immortalità, che vengono scolpite, cesellate, modellate per la preghiera e per accompagnare i defunti nella loro eternità. Pezzi di giada venivano usate nel periodo Han (206 a.C. - 220 d.C.) per coprire i volti dei defunti, gli occhi, il naso, la bocca, le orecchie, per non far “fuggire” l’anima all’interno del corpo.
Se c’è l’anima e l’immortalità, allora significa che la vita non è solo commercio, cose che si toccano e si vedono, ma anche spirito.
E mi accompagna un pensiero: i tentativi – anche attuali – di rendere atea, materialista la cultura dei cinesi non sono forse una violenza verso la cultura cinese?
Quando si pretende la “sinicizzazione” delle religioni, ossia la sottomissione a un uomo, al Partito, si lavora in realtà per distruggere la religione e la sua essenza, anche se si proclama di voler salvare la cultura tradizionale.
Mi viene in mente quanto mi ha detto alcuni anni fa il prof. Richard Madsen, sociologo delle religioni dell’università di S. Diego (California). Secondo lui il popolo cinese è fra i più religiosi: almeno l’80% crede in qualche forma di spiritualità. E questo nonostante tutte le campagne di ateismo e la persecuzione delle religioni.
Economia e cultura
Spesso si pensa che i cinesi siano buoni solo a lavorare, ad accumulare soldi. Tante volte mi sono trovato in metropolitana e ho guardato le centinaia di persone attorno, ognuno con lo sguardo fisso sul telefonino a giocare, a fare spese online, a dormire. Ho avuto l’impressione che la gente fosse schiacciata dai ritmi di lavoro e che il commerciare fosse l’unico orizzonte della loro vita.
Forse per alcuni è così. Ma nella vita non c’è solo materia, ma anche spirito, ideali, cultura.
Per me è stata una grande scoperta andare a visitare insieme al sig. Yang il quartiere di Hua Shan. Come sapete nella zona vi era una fabbrica, poi in disuso, divenuta ora un punto di raccolta di tentativi culturali: cinema, mostre, teatro, incontri.
Davanti al ristorante dove abbiamo mangiato, vi erano alcune piccole sculture di uccelli fatte con pietre e dei tubi lavorati che ricordavano molto un quadro di Salvador Dalì. A dimostrazione che l’uomo non vive solo di materia, ma anche di cultura e di ideali e che può trasformare in bellezza anche delle cose inanimate e fredde.
Il ricordo di Salvador Dalì è anche importante perché è segno che le culture dialogano fra loro e non si oppongono. Che tristezza sapere che in Cina in molte università non si studia la cultura occidentale per frenare “l’inquinamento spirituale” e si preferisce insegnare solo scienza, tecnica e materialismo.
Allo Hua Shan c’era una mostra sul “Piccolo Principe”, l’opera più famosa di Antoine de St Exupery, a dimostrazione che il dialogo fra culture non si ferma davanti a nessun confine di Stato.
Nel libro si parla di un “Piccolo Principe” venuto sulla terra da un altro mondo, che incontra una volpe. A poco a poco i due diventano amici.
Nel libro si parla anche della cura che il Piccolo Principe ha verso una pianta di rosa. “E’ il tempo che tu hai perduto per la tua rosa, che ha fatto la tua rosa così importante”, dice ad un certo punto la volpe.
Il tempo perduto per amore non è perduto, ma guadagnato.
Vorrei concludere applicando a noi le parole della volpe: è il tempo che abbiamo perduto nello studio, nell’amicizia che ha reso questi sei mesi un’esperienza così importante, che non dimenticherò mai.